La green supply chain, una transizione in atto
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L’emergenza sanitaria sta mettendo a dura prova la supply chain. Visibilità ridotta, necessità di flessibilità, flussi di volumi quanto mai imprevedibili, squilibri a livello internazionale… Le sfide che gli operatori logistici devono affrontare sono numerose e occorre essere estremamente preparati e anche ben equipaggiati per gestirle in modo efficace. Ecco alcuni spunti per orientarsi.
Sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, l’intera supply chain ha dovuto affrontare una mancanza di visibilità. Molte attività hanno subito rallentamenti, altre si sono fermate, con impatti diretti o indiretti su tutti gli attori coinvolti: dai produttori ai distributori, fino ad arrivare ai clienti finali. Le aziende, inoltre, hanno dovuto fare i conti con un contesto normativo poco chiaro e mutevole, con il risultato che è quasi impossibile pianificare azioni a medio-lungo termine, in particolare per quanto riguarda gli scambi internazionali. Una situazione resa ancora più complessa dal fatto che le misure variano nel tempo e da paese a paese. Oggi, quindi, è difficile prevedere quali clienti o fornitori saranno in grado di proseguire le loro attività e, di conseguenza, non è semplice farsi trovare preparati. La prima sfida per i player della gestione logistica sta nell’acquisire maggiore visibilità sulle loro attività, e non soltanto nel breve periodo. Per farlo sono possibili diverse strade:
La crisi odierna ha posto in risalto uno dei principali ostacoli che deve superare la supply chain: la mancanza di flessibilità e di adattabilità. Per quelle aziende che non sono state capaci di adeguare celermente le loro attività alla realtà dei fatti, le conseguenze sono state gravose e di varia natura: rotture o aumenti di stock, scarsità di materie prime, quantità di manodopera non congrua al volume delle attività, impossibilità di rispettare gli ordini, allungamento dei tempi di consegna ecc. Tali difficoltà logistiche non sono state, peraltro, prive di ripercussioni sulla solidità finanziaria delle aziende. Molte di esse hanno dovuto infatti affrontare diminuzioni dei flussi di cassa, l’annullamento degli ordini, ma anche un rialzo dei costi di magazzino e trasporto. Di fronte a tali vincoli, le aziende devono assolutamente migliorare l’agilità della loro supply chain. Una sfida che, a dispetto della portata, può essere affrontata per gradi.
Come ha giustamente sottolineato Isabelle Badoc, Product Marketing Manager per le soluzioni Supply Chain Execution di Generix Group, alcune aziende hanno quindi scelto di “creare un’organizzazione di preparazione degli ordini adatta a quei flussi caratterizzati da una maggiore finezza dei dati (più ordini con meno articoli per riga) derivanti dai piani di trasporto”;
L’emergenza sanitaria ha accelerato in maniera considerevole la digitalizzazione delle pratiche. Con la chiusura dei punti vendita fisici, la limitazione degli spostamenti e la paura delle interazioni sociali, numerosi consumatori finali si sono orientati sempre più verso il commercio online. Lo stesso hanno fatto i clienti B2B, che già da qualche anno avevano iniziato ad adottare un comportamento di acquisto digitale. L’urgenza della digitalizzazione è ancora più evidente poiché diverse piattaforme online di distribuzione B2B, come Amazon Business e Alibaba, stanno crescendo in maniera esponenziale, causando uno squilibrio nel rapporto di forza con i distributori “tradizionali”.
Di fronte ai nuovi comportamenti di acquisto, gli attori della supply chain non hanno altra possibilità che digitalizzarsi velocemente. Per raggiungere questo obiettivo, occorre dare priorità a diversi ambiti:
L’emergenza sanitaria ha finito per mostrare i limiti dell’ultra-globalizzazione. In effetti, i vincoli attuali hanno aumentato in maniera considerevole la complessità degli scambi di flussi internazionali, in termini di regolamentazione, approvvigionamento e trasporto. Il rischio sanitario, del resto, cresce di pari passo con i commerci sulle lunghe distanze, chiamando in causa un numero maggiore di attori per tutta la supply chain. Questa situazione non è affatto banale, dal momento che i rischi logistici appaiono più seri che mai: carenza di prodotti, impossibilità di rinegoziare i contratti, dipendenza dai fornitori, chiusura delle frontiere ecc. È aumentato, poi, anche il costo del trasporto per i flussi canalizzati sull’e-commerce. Come ha ricordato Isabelle Badoc, “le spedizioni avvengono generalmente per mezzo di corrieri o di aziende di corriere espresso. In termini di singolo articolo, il costo è quindi più elevato rispetto a quello in caso di noleggio di un camion completamente carico”.
Per superare tali ostacoli, la rilocalizzazione in patria (reshoring) della supply chain, in Italia o quanto meno in Europa, si afferma quindi come una necessità. Un obiettivo senza dubbio ambizioso, per raggiungere il quale è possibile attivare diverse leve:
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