La green supply chain, una transizione in atto
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In un settore in costante evoluzione e in piena trasformazione digitale, l’efficacia della formazione rivolta a operatori e responsabili della logistica rappresenta al contempo sia una leva di competitività che un vantaggio competitivo. Come abituare in modo agile e permanente i collaboratori a nuovi gesti e nuove pratiche? Come favorire l’adozione degli strumenti digitali dinanzi a una potenziale riluttanza al cambiamento? Ecco i nostri suggerimenti per ottimizzare il coinvolgimento degli operatori durante il processo fondamentale di “digital upskilling” (miglioramento delle competenze digitali).
Secondo la società di consulenza McKinsey, 90 milioni di lavoratori europei dovranno aggiornare in maniera significativa le proprie competenze nei prossimi dieci anni, poiché oltre il 20% delle loro attuali mansioni sarà supportato dalla tecnologia. Si tratta di un dato considerevole e destinato con buona probabilità ad aumentare nel settore della supply chain, dove la robotizzazione e l’automazione dei processi hanno già guadagnato uno spazio significativo in numerosi contesti operativi. Se queste trasformazioni possono suscitare inquietudini legittime all’interno di magazzini e piattaforme logistiche, la formazione professionale rappresenta senza dubbio il luogo ideale per motivare la transizione tecnologica, offrendo evidenze della sua utilità e del suo interesse per il personale (e non soltanto per l’azienda). A condizione, tuttavia, che questi cambiamenti siano effettivamente in grado di rispondere in maniera concreta e realistica ai problemi quotidiani affrontati dagli operatori logistici.
Per quanto riguarda la formazione, il consiglio che sentiamo di dare è quello di evitare di puntare tutto su moduli generici di e-learning o corsi teorici troppo avulsi dalla realtà sul campo. Quando si parla di digitale, le persone hanno bisogno di essere “gettate nella mischia” e imparare sulla base di sessioni concrete ed applicazioni reali, in modo da potersi impossessare degli strumenti digitali e rendersi conto del loro impatto sulle attività quotidiane, valutandone in maniera autonoma i potenziali benefici (ad esempio, riduzione della gravosità delle varie operazioni, maggiore spazio allo spirito d’iniziativa, controllo qualità o comunicazione).
La percentuale di personale che ha raggiunto una preparazione digitale e la percentuale di completamento dei corsi di formazione rappresentano degli indicatori costantemente monitorati dai reparti risorse umane e costituiscono una sfida continua, soprattutto nei contesti industriali, dove l’accesso alla formazione online è più difficoltoso da organizzare. Alcune aziende, come Continental, hanno preso l’abitudine di installare delle “learning box”, una specie di totem dotati di schermi e strumenti digitali all’interno degli spazi di produzione per stimolare i collaboratori a formarsi in modalità self-service tramite dei tutorial tecnici o dei cosiddetti “serious game” che simulano situazioni reali.
Nel gergo delle risorse umane il “reverse mentoring” indica quel processo che consiste nel creare un sistema di apprendimento bidirezionale tra un giovane lavoratore “nativo digitale” e uno più maturo che ha meno familiarità con gli utilizzi digitali e tecnologici. Questo processo può inquadrarsi nell’ambito di un programma ufficiale di mentoring gestito dal reparto di formazione aziendale, con contenuti formativi predefiniti, un piano d’azione e degli obiettivi. In alternativa, è possibile intervenire in maniera più informale e spontanea sul campo attraverso momenti di scambio e workshop collaborativi. In tutti i casi, questa pratica permette non soltanto di promuovere il trasferimento delle competenze digitali, ma stimola anche i legami intergenerazionali all’interno dell’azienda, favorendo il coinvolgimento e la retention del personale.
Quando viene utilizzata per scopi formativi, la realtà virtuale offre il vantaggio di immergere i collaboratori in un ambiente di lavoro simile a quello reale, senza rischi per la loro sicurezza e senza interruzioni della catena di produzione. Nel caso della realtà aumentata si emula addirittura lo stesso “setting” aziendale. Equipaggiato con un casco, un controller o uno schermo, il personale può quindi familiarizzare con i nuovi gesti e simulare diversi scenari di lavoro in maniera ludica e divertente. Ad esempio, si può imparare a guidare un carrello elevatore telecomandato evitando gli ostacoli, cercare il percorso più rapido per arrivare a una referenza prodotto o, ancora, simulare la gestione delle scorte all’interno di un magazzino virtuale. Questo tipo di esperienza immersiva permette al collaboratore di essere attore della propria formazione e quindi di apprendere dai propri errori. Progettati in maniera customizzata in funzione delle esigenze aziendali o resi disponibili in modalità standard dagli sviluppatori dei programmi di formazione, questi dispositivi possono integrare esperienze collettive di simulazione che mirano a formare team multidisciplinari.
Questo approccio basato sulla realtà virtuale acquista ora ancora maggiore importanza nell’era post Covid, in cui sempre più mansioni sono destinate a essere svolte da remoto.
Grazie alla realtà virtuale, ad esempio, Danone e Generix Group hanno sviluppato in Russia una metodologia che consente l’avvio in produzione di software gestione magazzino (WMS) da remoto su più siti in modalità sincrona: per saperne di più, clicca qui.
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